Il nostro angolo

BONES AND ALL: Il cannibalismo come metafora dell’amore

Dopo “Chiamami col tuo nome”, ritorna Timothée Chalamet nel film selvaggiamente poetico di Guadagnino 

Dal 23 novembre 2022 è stato trasmesso sugli schermi dei cinema il nuovo film di Luca Guadagnino “Bones and All”, con Timothée Chalemet e Taylor Russel. Si tratta di un film di genere horror e drammatico ma allo stesso tempo romantico, della durata di 130 minuti, distribuito da Vision Distribution. Il film è tratto dall’omonimo libro di Camille De Angelis, pubblicato da Mondadori nel 2015.

È la storia di Maren e Lee, due ragazzi impauriti e terrorizzati da loro stessi, che ripudiano la loro natura, ovvero quella di essere dei cannibali, senza riuscirci. I due protagonisti sono costantemente alimentati dal desiderio di trovare qualcuno che nella vita possa davvero apprezzarli, che li capisca e non li consideri dei “mostri”. Maren ha sempre pensato di essere l’unica ad essere nata nel modo sbagliato, l’unica che gli altri abbandonassero, invece scopre che esiste un ragazzo proprio come lei, forse la sola persona che la capirà davvero. Infine, un ruolo fondamentale, quasi terzo personaggio del film, è dato dalla fame. Fame concepita in due modi: quella che si può sfamare con un semplice hamburger e un’altra, che invece proviene da luoghi più profondi, frutto di desideri inesaudibili e troppo forti per essere repressi.

I sentimenti che caratterizzano Maren e Lee sono fortemente condizionati dal loro passato e soprattutto dalle azioni che commettono. Mangiano uomini insieme, divorano vite, distruggono famiglie senza volerlo. Cercano continuamente risposte, che non ricevono: quello che il cannibalismo dà loro è solo senso di colpa e sentimento di non appartenenza, a loro stessi e al mondo, tanto crudele quanto inutile. Concepiscono la vita come un susseguirsi di vicende nelle quali ogni cosa può essere riparata, ma verso la fine del film capiranno che non è possibile: è troppo quello che fanno. E per questo Maren pensa che allontanarsi da Lee sia una cosa positiva, che le farà bene, grazie alla quale diventerà finalmente una persona normale. Ma si rende conto che, oltre alle persone che divora, sta facendo del male anche a Lee: l’ha ferito e si odia per questo.

Capisce che non stare con la persona che si ama era il torto più grande che poteva attribuirsi, la sua vita è sempre stata pesante, diversa, malinconica: era indispensabile trovare qualcuno con cui condividerla.

Non è insito nel cuore di Lee e Maren la volontà di uccidere, non è neanche colpa loro se sono cannibali, sono nati così. E per questo vorrebbero scappare da loro stessi ma non si può fuggire da quello che si è, dobbiamo  essere noi  i primi ad accettarci, anche se gli altri potrebbero non farlo; dobbiamo trovare in noi stessi la forza di riparare le nostre ferite.

Per tutto il film amare è forse l’unico aspetto per cui i due protagonisti si sentono “giusti”, provano sensazioni che sentono anche persone non come loro, e di questo sono sorpresi, hanno quasi paura: sono abituati ad essere necessariamente diversi dalla società.

E possono essere anche paragonati ad animali, infatti dopo l’abbandono di tutti e due i genitori, Maren ha sviluppato quell’istinto di indipendenza che hanno gli animali, il coraggio che serve per affrontare i pericoli da soli.

In tutte le situazioni di sconforto che compaiono nel film, Lee trova riparo in Maren, e viceversa. Le loro anime si incontrano, combaciano perfettamente, come pezzi di un puzzle.

Nella scena finale, forse la più commovente, i loro sguardi si incrociano, come se improvvisamente capissero quanto il mondo possa essere terribilmente crudele, come possa in un soffio togliere a noi la vita, l’amore, le cose a cui teniamo.

 

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