di Andrea Maurin
A Buenos Aires ancora si respira il clima di festa per la vittoria nella Coppa del Mondo che, poco meno di un mese fa, gli undici legionari capitanati da Leo Messi hanno consegnato al Paese. L’edizione di Qatar 2022 resterà a lungo nelle nostre memorie calcistiche, ma non solo. Raramente, infatti, abbiamo vissuto mondiali “storici” come quelli appena conclusi, sia per i record che hanno fissato sia per le battaglie civili e politiche che li hanno caratterizzati. A spogliatoi vuoti, dunque, proviamo ad entrare in campo e a comprendere quali partite si sono giocate, sull’erba e nel mondo.
Nelle puntate precedenti: un pranzo all’Eliseo e gli stadi insanguinati
Per capire gli sviluppi di una partita occorre partire dal calcio d’inizio, in questo caso un fatto curioso. È il 2010 quando il Qatar vince – a sorpresa – l’assegnazione del Campionato mondiale di Calcio del 2022. La notizia fa il giro del mondo: per la prima volta nella storia di questa competizione i mondiali si disputeranno in un piccolo paese del Medio Oriente senza alcuna tradizione calcistica, e per di più in inverno. La domanda che in molti si fanno è: come ha fatto il Qatar a vincere? Potrebbe essere bastato un pranzo all’Eliseo tra l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, l’ex campione di calcio francese e presidente della UEFA Michel Platini, e Tamim bin Hamad al Thani, al tempo erede della monarchia qatariota e oggi emiro. Casualmente, infatti, dopo la discussa assegnazione dei mondiali al Qatar (in cui si riveleranno decisivi i voti controllati da Platini), sia il presidente che il campione francesi vengono indagati per corruzione. Assieme a loro anche altri quattordici dei ventidue elettori presenti a quella votazione vengono banditi o sospesi dalla FIFA, e infine indagati o dichiarati colpevoli di corruzione dalle rispettive magistrature nazionali. Se sulla FIFA era già lecito nutrire qualche dubbio riguardo alla sua impermeabilità alla corruzione, a confermare i nostri sospetti sulla generosità delle tasche dell’emiro verso le istituzioni internazionali ci ha pensato il recente scandalo del Qatargate, che ha rivelato un preoccupante giro di mazzette intorno al Parlamento Europeo.
L’inizio di questa storia non si può, dunque, considerare dei migliori, e pure il suo sviluppo non è da meno. La Coppa del Mondo richiede strutture attrezzate per essere disputata, che in Qatar, terra di dune e di gas naturale, vengono realizzate con una magnificenza mai vista prima. I cinque stadi e le relative strutture connesse renderanno l’edizione del 2022 la più costosa di sempre, con una spesa finale che raggiunge i 200 miliardi di dollari. Una cifra esorbitante, che però è nulla in confronto all’altissimo prezzo di vite umane che tali costruzioni hanno richiesto. Si stima che a morire nei cantieri e sui ponteggi degli stadi qatarioti siano state circa 6500 persone, perlopiù immigrate. Un numero enorme e di cui soprattutto la piccola monarchia che si affaccia sul Golfo Persico non si è mai sentita in dovere di dare spiegazioni, classificando queste morti come “naturali”.
Storie e polemiche dai mondiali delle meraviglie
Fortunatamente i mondiali sono anche altro oltre a questi tristi fatti. Sono la competizione sportiva internazionale più seguita al mondo, a pari merito con le Olimpiadi, e da sempre sono sinonimo di incontro e cooperazione tra i popoli, divisi ma uniti sulla rincorsa di un pallone. Proprio sotto questo aspetto la Coppa del Mondo appena conclusa può raccontarci alcune storie interessanti.
Tra le grandi assenti in questo torneo, oltre alla nostra Italia, che ha mancato per la seconda volta consecutiva la qualificazione, spicca il vuoto lasciato dalla Russia, nazione ospitante della scorsa edizione, che è stata esclusa a causa dell’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio scorso. Un’altra storia degna di nota è quella dell’Iran, la cui squadra ha scelto di non cantare l’inno nazionale come gesto di solidarietà alle violente proteste scoppiate nel Paese dopo la morte di Mahsa Amini, e che nella sua breve permanenza al torneo si è scontrata contro gli Stati Uniti, nazione con cui l’Iran non ha più alcun tipo di relazioni diplomatiche dal 1980. Infine, notevole è il percorso di crescita vissuto dal Marocco, prima squadra africana a raggiungere le semifinali, grazie a un gruppo di giocatori frizzanti e dinamici.
Tante storie ma anche tante polemiche. Resteranno memorabili il divieto da parte della FIFA alla nazionale tedesca di esibire delle fascette arcobaleno durante la partita e la scelta dell’emiro Al Thani di far indossare a Leo Messi un tipico mantello qatariota mentre solleva la coppa nelle foto con la squadra: un’ingerenza della nazione ospitante probabilmente un po’ eccessiva e di dubbio gusto.
Oltre il novantesimo minuto: quale futuro per il calcio?
I mondiali a cui abbiamo assistito hanno apportato molte novità, ma hanno anche segnato la chiusura di una fase. Dal punto di vista prettamente sportivo, si è consumata una sfida tra i grandi protagonisti degli ultimi decenni, squadre o singoli campioni che siano, e le nuove stelle del firmamento calcistico. Esemplificativo sotto questo punto di vista è stato lo scontro finale tra Francia e Argentina, incarnate rispettivamente dall’inafferrabile e spavaldo Kylian Mbappé e l’eccelso e trainante Lionel Messi. Anche se stavolta la vittoria è andata a Messi, è indubbio che il prossimo futuro dovrà fare i conti con i nuovi prodigi del calcio.
Sotto uno sguardo più ampio, possiamo riconoscere questo mondiale come il passaggio decisivo verso una sempre più forte commercializzazione del fenomeno calcistico, che vedrà nei mondiali del 2026 i suoi effetti più eclatanti, ovvero l’allargamento della competizione da 32 squadre partecipanti a 48. Una mossa che, se da una parte aumenterà le chances di qualificazione per molti Paesi (oltre che le spese di organizzazione per la nazione ospitante), dall’altra vedrà moltiplicati i proventi della vendita dei diritti televisivi del torneo da parte della FIFA. Una scelta poco ortodossa al mandato della FIFA, dato che il principale scopo dell’organizzazione è la promozione dello sport come valore e stile di vita, non come strumento di guadagno. In conclusione, la sempre maggiore influenza degli interessi economici e politici nell’ambiente ci spinge a porci la domanda: che cosa ne sarà del calcio? Non ci è dato saperlo, tuttavia è nostro compito difendere i valori e la bellezza di uno sport sano e genuino, che sappia unire le differenze e vincere gli interessi di parte.
Vuoi leggere un altro articolo? Clicca qui!