«Why isn’t every government, every philosopher, every theologian, everywhere in the world discussing Onkalo and its implications?»
The Guardian
100.000 anni. È questo il tempo che deve trascorrere affinché le scorie radioattive, prodotte insieme all’energia nucleare, perdano la loro potenza distruttiva.
Allo scopo di conservarle al sicuro da terremoti, guerre ed eventi traumatici di varia natura, alcuni ricercatori hanno avviato un progetto per costruire Onkalo, un deposito geologico scavato nella roccia finlandese, descritto nel documentario Into eternity, uscito nel 2010 e diretto dallo scrittore e regista danese Michael Madsen.
Madsen articola il documentario in sette sequenze, che, attraverso le immagini, i silenzi e le parole degli scienziati intervistati, si addentrano sempre più a fondo nella questione, assumendo risvolti anche filosofici.
Nella narrazione cinematografica, i concetti di tempo e linguaggio assumono un significato nuovo: quanto può valere la durata concessa all’esistenza umana se posta a confronto con quella promessa dalla roccia di Onkalo? Come riuscire a lasciare dei segnali comprensibili anche tra migliaia di anni? Quale sarà il significato che una futura umanità attribuirà a dei depositi come quello descritto?
Lo spettatore è posto davanti all’impossibilità di comunicare con il futuro e mai come in questa prospettiva gli appare chiaro come il linguaggio sia una semplice, umana, convenzione, destinata a mutare. Questa crisi ci pone davanti a un bivio: tentare di trasmettere le informazioni di oggi o confidare che il tempo trascini nell’oblio le tracce di questa nostra civiltà?
Into Eternity è un film che pone domande senza dare risposte certe e univoche, rivolgendosi a un’umanità lontana nel futuro, differente e indefinita; è un “testamento”, l’unica testimonianza del nostro mondo e del suo “rinascimento nucleare”, che ci costringe a riflettere sulle conseguenze smisurate delle scelte di oggi.
Articolo scritto dagli studenti coinvolti nell’organizzazione della rassegna cinematografica “L’occhio di un bagliore”. Edizione per la pubblicazione a cura di Giovanna Longobardi.